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Nell'arco di settanta anni, tra la fine del secolo diciannovesimo fino agli anni '60 del dopoguerra, si calcola che oltre trenta milioni di italiani siano emigrati all'estero. A partire dalla fine degli anni '80, l'entrata sporadica di stranieri ha assunto un'intensità superiore a quella degli altri paesi europei ed oggi la percentuale di stranieri sul totale della popolazione si avvicina a quella della Francia o della Gran Bretagna, abituate da tempo a organizzare l'accoglienza di popolazioni provenienti soprattutto dalle ex colonie. Gli immigrati non hanno portato solo lavoro, ma anche desiderio di rischiare e di fare impresa. In un tessuto economico già dominato dalla piccola impresa, hanno trovato terreno relativamente fertile per diventare lavoratori autonomi, sulla base di una propensione differenziata a seconda del paese di origine (come nel resto del mondo, la diaspora cinese continua a produrre anche in Italia un elevata propensione all'imprenditorialità), ma anche sulla base della diversa capacità ricettiva dei settori di attività (dopo la liberalizzazione degli anni '90 il piccolo commercio, accanto all'edilizia ha offerto terreno fertile per la nascita di micro imprese di immigrati, che hanno in parte sostituito quelle degli autoctoni).